Con la sentenza n. 6031 del 4 Ottobre 2019 il Tribunale di Padova dichiara legittimo il licenziamento di un lavoratore che ha falsamente attestato la sua presenza in servizio. Il ricorso a un’agenzia investigativa per accertare gli illeciti penali non costituisce né violazione degli artt. 3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori, né violazione della privacy.
Succede a Bologna dove al responsabile del processo di apertura dei nuovi punti vendita la società intima il licenziamento per giusta causa, in quanto dall’indagine investigativa preposta emerge che in 14 giorni di lavoro (ore 112), nei quali erano peraltro comprese un’assenza per ferie ed una per malattia, il dipendente si era dedicato a questioni personali per ben 20 ore, pari al 17,86% del tempo complessivo.
La sentenza arriva in seguito alla domanda di ricorso del dipendente che chiede di “accertare e dichiarare la nullità e/o l’annullabilità e/o l’inefficacia e comunque l’illegittimità del licenziamento intimato dalla società perché privo di giusta causa o giustificato motivo per insussistenza – materiale o giuridica – del fatto contestato e/o perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, e comunque perché sproporzionato, in violazione dell’art. 2106 c.c.”
Il Giudice del Lavoro rigetta la domanda, chiarendo che è oggetto di contestazione disciplinare non la circostanza per la quale il ricorrente avrebbe arbitrariamente gestito in modo “flessibile” l’orario di lavoro, quanto piuttosto “fatti qualificabili alla stregua di falsa attestazione della propria presenza in ufficio in periodi temporali in cui, durante l’orario di lavoro, egli invece si trovava al di fuori della sede” (il dipendente si assentava per rientrare al proprio domicilio e monitorare i lavori di ristrutturazione o per andare al bar, inserendo manualmente orari falsi nel sistema gestionale delle presenze).
Secondo la sentenza è inoltre da stabilire come lecito l’impiego di personale di un’agenzia investigativa privata in quanto il controllo operato dalla società datrice di lavoro non è frutto di un’estemporanea iniziativa, ma conseguenza di anomalie rilevate circa immotivate assenze dal luogo di lavoro.
L’agenzia investigativa viene ritenuta dal giudice lo strumento d’indagine meno invasivo “tra quelli concretamente disponibili e comunque utili allo scopo ” dando particolare rilevanza al fatto che il dipendente lavorasse presso un ufficio distaccato del quale era unico occupante, senza possibilità di supervisione diretta da parte di alcun superiore. L’Autorità Giudiziaria stabilisce inoltre che non vi è alcuna violazione dello Statuto dei Lavoratori, in quanto l’utilizzo dello strumento fotografico da parte degli investigatori non si qualifica come “un monitoraggio costante, continuativo e indiscriminato sui luoghi in cui la prestazione lavorativa deve essere eseguita.”
Tutto ciò vale a giustificare anche sotto il profilo oggettivo la scelta della società di non contestare immediatamente la prima potenziale infrazione disciplinare riscontrata, ma di avvalersi di un investigatore privato ed attendere le risultanze di un monitoraggio prolungato per un periodo significativo.